Il quotidiano Il Foglio ha provocatoriamente chiesto “la liberazione di Gaza da Hamas”. Da Hamas, e non da Israele la cui invasione della striscia in reazione alla strage degli ebrei del 7 ottobre scorso, come la chiamarono i terroristi, è costata sinora 35 mila vite umane. Il Foglio lo ha fatto dopo le rivelazioni del New York Times che a Gaza il leader di Hamas, Yahya Sinwar, al momento inafferrabile, aveva instaurato un regime di terrore tramite l’Ssg, il Servizio di sicurezza generale, la sua polizia segreta. Secondo fonti gazesi, israeliane e americane, che hanno paragonato l’Ssg alla infame Stasi della Germania comunista ai tempi dell’Urss, Sinwar avrebbe eliminato centinaia di oppositori, costringendo i congiunti di alcuni di loro a seppellirli vivi, e fatto incarcerare o torturare o spiare fino a diecimila “non allineati”. Termine questo che includeva non soltanto dissidenti politici ma altresì individui “immorali”, cioè non fanaticamente islamici. Il New York Times ha citato il giornalista gazese Ehab Fasfour: “Oltre che dei bombardati dagli israeliani, oggi noi siamo anche vittime delle violenze di Hamas”.
Reciproca disumanizzazione
Sebbene fosse noto a tutti che Hamas aveva conquistato il potere con le armi nel 2007, scatenando una guerra civile per strapparlo all’Olp, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina, le rivelazioni del New York Times hanno causato enorme scalpore. Le ha avallate un altro giornalista di Gaza, Ahmed Fouad Fasfour, del quotidiano The National negli Emirati Arabi, scrivendo che “Israele ha ucciso trentun miei familiari, ma è fondamentale denunciare Hamas e il suo nichilismo messianico”. Secondo Fasfour, “se noi diciamo che gli israeliani sono colpevoli dell’occupazione di Gaza e complici delle loro ingiustizie contro i palestinesi allora siamo come quegli israeliani che dicono che non ci sono civili innocenti a Gaza”. Un riferimento, questo, alla protesta del Presidente di Israele Isaac Herzog che “i gazesi avrebbero potuto insorgere” contro Sinwar e l’Ssg e che “è falsa retorica che non fossero consapevoli” dei loro piani terroristici. Il giornalista ha deprecato “la reciproca disumanizzazione” dei due popoli, auspicando una simultanea caduta di Sinwar e del premier israeliano Netanyahu.
Permanenza al potere
La provocazione de Il Foglio era diretta a quelle che ha battezzato “le brigate filopalestinesi” in Italia, ossia alle sinistre che manifestano contro Israele per la Guerra di Gaza ma non, a esempio, contro la Russia per la guerra dell’Ucraina o contro i suoi alleati per la repressione in Georgia. Ma il termine “brigate” è spregiativo, mentre le dimostrazioni sono più che legittime, naturalmente se pacifiche. In realtà, comunque, la responsabilità dei massacri in corso a Gaza non è soltanto di Netanyahu ma anche di Sinwar. Entrambi perseguono il proprio interesse politico, la permanenza al potere a qualsiasi costo, anziché l’interesse delle loro nazioni. Entrambi rifiutano di sospendere le ostilità e di accettare la mediazione di terzi per consentire seri negoziati di pace. Entrambi vogliono la distruzione dell’avversario. Tra di loro c’è una unica differenza: Sinwar tace per evitare che Netanyahu scopra dove si nasconde, e Netanyahu parla per convincere l’opinione pubblica mondiale che “a Rafah vengono evacuate le persone, e la catastrofe umanitaria di cui si è parlato non si è materializzata e non si materializzerà mai”.
Il ruolo di Biden
Fortunatamente, il destino di Gaza e di Israele non è solo nelle loro mani, ma anche in quelle di un leader che vorrebbe realizzare il sogno di due Stati che convivono in pace: il presidente americano Biden. Paradossalmente, dei tre chi ha a cuore l’interesse dei due popoli è proprio Joe Biden. Il Presidente americano ha un piano preciso, che porterebbe alla graduale formazione dello Stato della Palestina accanto allo Stato di Israele: creare un’alleanza di Paesi arabi moderati che medino tra israeliani e palestinesi oltre che per porre fine alla Guerra di Gaza anche per avviare le trattative sui due Stati. A questo scopo, alla fine della scorsa settimana ha mandato il consigliere della sicurezza nazionale della Casa Bianca Jake Sullivan in Arabia Saudita e a Gerusalemme, dove ha conferito più con Benny Gantz, che rappresenta l’ala centrista del governo israeliano, che con Netanyahu. Biden spera che Sinwar venga sconfitto e Hamas neutralizzato senza altri bagni di sangue, e che l’interlocutore torni a essere l’Autorità Nazionale Palestinese di Ramallah, in prevalenza laica, che riconobbe Israele già trent’anni fa.
I precedenti
Molti, anche in America, rimproverano al Presidente un’eccessiva debolezza nei confronti di Israele, che ha rifiutato il permesso di sorvolo della striscia agli aerei per gli aiuti umanitari, ma senza di lui a Gaza Netanyahu avrebbe fatto di peggio. Biden lo tiene costantemente sotto pressione. Non ha bloccato la risoluzione di condanna degli israeliani all’Onu, si è astenuto. Ha inoltre sospeso la forniture di bombe ad alta carica a Netanyahu, pur stanziando per lui un miliardo di dollari di aiuti militari, munizioni per carri armati e veicoli tattici innanzitutto. E ha sollevato il problema dei coloni israeliani che approfittano della guerra per espandersi nei territori palestinesi e per impedire che la popolazione venga assistita. Non è la prima volta che l’America affronta la questione: nel 1992, il presidente Bush Sr. vietò un finanziamento di dodici miliardi di dollari finché Israele non smise di edificare nuove colonie. Al riguardo c’è inoltre un importante e costruttivo precedente: dopo la pace con l’Egitto nel 1979, il premier israeliano Ariel Sharon, che non era meno bellicoso di Netanyahu, smantellò le colonie nel Sinai.
I meriti di Biden
Biden ha un altro merito. Ha evitato che la Guerra di Gaza si trasformasse in una guerra regionale, coinvolgesse cioè gli interi Medio Oriente e Golfo Persico, ammonendo l’Iran e i suoi protetti, da Hamas agli altri movimenti terroristici locali come Hezbollah in Libano e Houthi nello Yemen, che sarebbe intervenuto con tutte le forze disponibili, dispiegando nella zona portaerei e lanciamissili. E ha dissuaso la Cina, che nel frattempo saggiava le sue reazioni a un’eventuale annessione di Taiwan, e la Russia, che intensificava gli attacchi all’Ucraina, dall’appoggiare l’opera di destabilizzazione iraniana nella regione. Una volta tanto, l’Unione europea ha seguito l’esempio americano. Da un lato, ha invitato Israele a non aggravare la tragedia umanitaria in corso tra i palestinesi dicendo che essa “mette a dura prova i nostri rapporti”. Dall’altro ha dispiegato navi e aerei nelle acque nei cieli in cui l’Hezbollah e gli Houthi compiono incursioni. Condurre Netanyahu alla ragione è difficile ma non impossibile. Il premier, che è duramente contestato dagli stessi israeliani, dovrà cedere prima o poi.
Lo spettro di Trump
Purtroppo, il tempo a disposizione degli Usa e dell’Ue per portare la pace a Gaza è breve, cinque mesi o centocinquanta giorni circa, perché ai primi del prossimo novembre si terranno le elezioni presidenziali americane, e stando ai sondaggi Biden potrebbe perderle. E’ cruciale che in questi centocinquanta giorni venga concluso un armistizio nella striscia, e che essa venga presidiata da una Forza di pace internazionale con la partecipazione dei Paesi arabi moderati. Tocca agli israeliani premere da ora sul governo Netanyahu e contestare gli estremisti che lo sostengono e i coloni con una insistente campagna di disobbedienza civile. Israele deve andare alle urne quest’anno, non nel 2026, la data su cui punta il premier, per porre fine alle sofferenze del popolo palestinese e gettare le basi di futuri accordi. Deve ribellarsi allo stato di guerra impostogli dopo la strage del 7 ottobre. Tutto ciò non sarebbe più possibile se fosse eletto presidente Trump, che come abbiamo ripetuto più volte è dalla parte di Netanyahu, come lo è di Putin nella Guerra dell’Ucraina. Sotto Trump, svanirebbe il sogno di uno Stato della Palestina.
“Buoni” e “cattivi”
Torniamo a Il Foglio e alle “brigate filopalestinesi”. Il politologo americano Ian Bremmer spiega così la loro diffusione in tutto il mondo, Italia inclusa. La Guerra di Gaza, dice, è il tipico caso in cui da una parte (Israele) paiono stare le forze del male, il colonialismo, l’imperialismo, il razzismo, l’apartheid, e dall’altra (la Palestina) le forze del bene, la libertà l’indipendenza, l’uguaglianza. E’ pertanto naturale che in America e in Europa i giovani si schierino in maggioranza contro la prima e per la seconda, per una questione o morale, o ideale o ideologica. Ma, aggiunge Bremmer, si tratta di una semplificazione eccessiva, perché non si può ignorare che Hamas, applaudito non di rado dai dimostranti, architettò per anni la strage degli ebrei, vedasi le decine di chilometri di tunnel sotterranei. Che detiene tuttora degli ostaggi e che ne ha torturato e ucciso altri, un ricatto che non può essere condonato (come non può non essere condannata la spietatezza di Netanyahu). Che si serve di scuole e ospedali come scudi e che non rappresenta i palestinesi ma una dittatura militare e assieme religiosa come quella degli Ayatollah in Iran.
Il monito di Mattarella
Alla Sapienza a Roma il presidente della Repubblica Sergio Mattarella ha ricordato a tutti che si deve “denunciare ogni violazione dei diritti umani”. E’ stato accusato di “cerchiobottismo”, un colpo al cerchio e uno alla botte, dalle “brigate filopalestinesi” che dimostravano e si scontravano con la polizia davanti all’ateneo urlando “non basta invocare la pace, dicci se sei con noi o contro di noi”. Ma Mattarella ha enunciato una verità fondamentale: un crimine di guerra, un crimine contro l’umanità, e nella Guerra di Gaza se ne stanno consumando tanti, è obiettivamente tale, non lo è solo se commesso da Netanyahu, lo è anche se commesso da Sinwar. Chi non vuole capirlo ci avvia su una strada già percorsa con l’Olocausto ebraico, il capitolo più orrendo della nostra storia, la strada dell’antisemitismo. In Europa e in America adesso c’è chi tenta di incendiare le sinagoghe, chi spara contro le ambasciate israeliane, chi accoltella gli ebrei, chi attacca le forze dell’ordine che tentano di impedirglielo. E mette così in pericolo la democrazia, che è sopravvissuta a ben due guerre mondiali.
Ennio Caretto