Al centro di Ghiaia Grande c’è una quercia maestosa, un metro di diametro e venti di altezza, la sua chioma è perfetta e armoniosa, come lo sono quelle degli alberi sani e liberi di distendere i loro rami. Tutto intorno acqua, quella di una collana di piccoli laghi e, appena oltre, sullo sfondo, boschi.
Gli ettari di questa rinnovata risorsa naturale sono ben cinquanta, un territorio che fa parte dei comuni di Pontestura e di Camino in provincia di Alessandria, nel Parco naturale del Po piemontese e nel cuore della ZSC IT1180005 “Ghiaia Grande (fiume Po)”, per un terzo una zona umida e per due terzi boschi intervallati da radure, un’area rinaturalizzata diventata pubblica.
L’atto notarile di cessione della proprietà, passata dalla Società Allara S.p.a. all’Ente di gestione delle Aree protette del Po piemontese è stato siglato nei giorni scorsi, un nuovo passo in avanti per la Foresta condivisa del Po piemontese.
La cessione dei terreni è il fausto epilogo di un processo di messa in valore dell’ambiente avvenuto in un lasso di tempo durato 15 anni e compiuto attraverso un progetto innovativo di estrazione di sabbia e di ghiaia, frutto della decisione lungimirante di attivare una cava ex novo orientandola verso il rinnovamento dell’ambiente naturale e di ripristino dell’equilibrio idrogeologico del territorio.
L’operazione può essere descritta in termini attuali come “Win Win” dato che sono tutti vincitori: l’agricoltore che vendette i suoi terreni alla società estrattiva, l’azienda stessa che ne ricavò utili, il pubblico e la collettività che avranno benefici negli anni a venire. Ciascuno ha vantaggi di ritorno che per quanto riguarda la comunità sono decisivi, sia dal punto di vista dei servizi ecosistemici sia sotto il profilo geomorfologico e idraulico, in quanto un intervento di questo genere contribuisce a mitigare gli effetti delle esondazioni senza costi a carico della Pubblica Amministrazione. L’area infatti si trova nella golena del fiume Po, dove durante gli eventi di piena si riversano grandi volumi d’acqua: sui terreni restituiti alla natura il fiume è libero di esondare senza creare problemi e danni a edifici e a produzioni agricole.
È importante sottolineare che la correttezza dei ragionamenti che furono alla base delle decisioni prese a suo tempo è oggi confermata dalle azioni di contrasto alla crisi climatica indicate dall’Agenda 2030 e contenute nei piani Next Generation EU. Il nuovo programma “Rinaturazione del Po”, inserito nel PNRR – che ha visto la collaborazione delle 4 Regioni padane (Piemonte, Lombardia, Emilia-Romagna e Veneto), dell’Agenzia Interregionale per il fiume Po (AIPo) e degli Enti di gestione delle Aree protette bagnate dal Po, con il coordinamento dell’Autorità di Bacino Distrettuale del fiume Po (ADBPo) e che comprende progetti per 357 milioni di euro – ha infatti aperto una stagione di opere di carattere ecologico-ambientale improntate alla rinaturalizzazione e alla biodiversità, a partire dai Siti facenti parte della Rete Natura 2000. Il fine è di migliorare la salute del Po, con nuove strategie di intervento i cui punti nevralgici saranno gli interventi sulla struttura del fiume, che garantiranno più libertà di movimento nei terreni circostanti, attraverso la riapertura di lanche e di rami abbandonati, con la creazione di corridoi di connessione tra le aree protette, in modo che le specie animali e vegetali siano in grado di spostarsi agevolmente, ma contrastando le specie alloctone invasive. Così si cercherà di restituire all’ecosistema fluviale, almeno in parte, gli spazi sottratti in passato che sono di vitale importanza per lui e per noi.
Anche se la realtà di oggi è la gravissima siccità che ha ridotto ai minimi termini lunghi tratti del Po, ritorneranno i momenti in cui il fiume avrà bisogno di spazi enormemente più grandi per smaltire le acque di piena; solo allora si capirà quanto avremo ancora da fare per arrivare a una situazione di maggiore equilibrio, tenendo conto che gli eventi meteorologici sempre più intensi non facilitano di certo le cose.
Ghiaia Grande, questo il è toponimo dell’area, una denominazione che ci fa capire bene la caratteristica di un luogo che non era e non è particolarmente fertile. Fino alla metà del secolo scorso era una grande isola in mezzo al Po ma successivamente fu collegata artificialmente alla sponda sinistra: a questo scopo venne collocata una grande quantità di blocchi in cemento a chiusura dell’imbocco di quello che era diventato prima un braccio secondario del fiume, poi una lanca alimentata solo più dalla falda freatica; in quel modo fu parzialmente trasformata in zona agricola, appunto con grossi problemi di resa. Peraltro l’area, chiusa tra le acque della lanca e il Po, aveva proprio le caratteristiche ideali per attrarre i cinghiali, causa di ricorrenti danni ai seminativi magari risparmiati dagli eventi di piena, innescando richieste di risarcimento verso la pubblica amministrazione.
Con la rinaturalizzazione è stato ricostruito un importante bacino di biodiversità, riportando equilibrio tra gli elementi naturali e ridimensionando anche la criticità dovuta alla presenza dei cinghiali. Sono state messe a dimora migliaia di piante autoctone, tipiche della fascia fluviale; i salici arbustivi, per esempio, trattengono il terreno con le loro radici, sono flessibili e non rischiano di essere trascinati via dalla corrente, facendo da filtro naturale all’acqua.
La maggior parte dei nuovi specchi d’acqua alimentati dalla falda ha acque basse, profonde due o tre metri, condizione ideale per la vita di moltissime specie. Importantissimi per gli uccelli sono diventati un’area di rifugio per lo svernamento; in alcuni anni si ritrovano lì anche 2 o 3 mila uccelli di diverse specie, prevalentemente anatidi, come l’alzavola, il germano reale, il mestolone, il fischione. Anche la garzaia sulla sponda opposta del Po ha avuto i suoi vantaggi: da lì provengono per alimentarsi aironi cinerini e il nibbio bruno, quest’ultimo alla ricerca di pesci morti. La nuova parte di bosco a ridosso del fiume ha attirato il picchio nero, specie che prima in quel territorio non c’era. Una zona eccellente come quella richiama anche tante specie di rettili, per citarne una la testuggine palustre europea, a rischio di estinzione, e di anfibi; qui, sono sicuramente presenti, tra gli altri, la rana dalmatina e il rospo comune, oggetto di monitoraggi specifici.
La grande biodiversità di quest’area si estende oltre le zone umide di cui si è già detto, perché a stretto contatto con gli ambienti acquatici vi sono alcuni terreni, piuttosto aridi, che costituiscono l’habitat perfetto per alcune specie di orchidee selvatiche, tra tutte l’orchidea cimicina, una specie particolare che ha esemplari delicatamente profumati e altri che sprigionano un soffuso aroma acre.
Questa è la storia di Ghiaia Grande, un tempo criticità e oggi diventata quasi completamente risorsa comune, con prospettive di ulteriori miglioramenti sotto il profilo della ricchezza naturalistica quando si sarà completato il suo percorso di restituzione alla mobilità fluviale.