Giugno 1973. Alla Casa Bianca estiva di San Clemente in California il presidente americano Richard Nixon e la moglie Pat attendono l’arrivo del leader sovietico Leonid Breznev per uno dei summit più importanti dello scorso secolo. Sul prato di fronte all’eliporto, ci sono il consigliere della sicurezza Henry Kissinger con la sua fiamma del momento, la bellissima attrice Jill St. John, una delle “Bond girls”, alcuni dignitari, un altro attore, Chuck Connors, alto due metri, l’eroe dei western televisivi “The rifleman”, il fuciliere, e un gruppo di giornalisti tra cui il sottoscritto, il corrispondente de La Stampa dagli Stati Uniti, che ha buone credenziali perché tre anni prima è stato espulso dall’Unione Sovietica. Arriva l’elicottero e ne scendono Breznev e il ministro degli esteri Andrej Gromyco. Ma anziché verso Nixon, che conosce da quindici anni, Breznev si dirige quasi di corsa verso Chuck Connors, un ex campione di baseball e pallacanestro che non ha mai incontrato, e lo abbraccia. L’attore lo solleva da terra e lo fa ruotare tra applausi e risate fragorosi prima di lasciarlo andare e di guidarlo, con la mano sulle spalle e con Jill St. John al fianco, da un Nixon visibilmente divertito.
Genio della diplomazia personale
Sembra la scena di un film, e non c’è dubbio che il regista sia Kissinger, un genio della diplomazia personale. E infatti ci fa un sorrisetto: “Come, non sapete che Breznev è un fanatico dei western? Li vede tutti”. Kissinger ha inscenato la recita per mettere l’ospite a suo agio, e ne verrà premiato. In un clima disteso, Nixon e Breznev firmano il Trattato sulla prevenzione della guerra atomica, un incubo di cui il mondo è all’oscuro, perché le due superpotenze nascondono quelle che sarebbero le perdite al solo primo lancio dei missili nucleari, l’eliminazione di metà delle loro popolazioni, ossia di 125 milioni di persone per quanto riguarda l’America. E’ il principio del graduale disgelo tra gli Usa e l’Urss, a cui Nixon e Kissinger hanno abbinato il varo del dialogo con la Cina, la cosiddetta triangolazione, per prevenire la nascita di un asse antiamericano Mosca-Pechino. Per Kissinger, che ha un divorzio alle spalle e la fama del Casanova, l’unico neo del summit sarà la perdita di Jill St. John. Nixon gli dirà di non voler avere a che fare con una relazione come quella di Marylin Monroe e del presidente John Kennedy (“non si mescola il cinema alla politica”) e l’anno successivo Kissinger sposerà la filantropa Nancy Maginess.
L’amicizia con Agnelli
Il ricordo che ho di Kissinger uomo, non politico, è di un colto e persuasivo intellettuale con il senso dell’umorismo. Aveva lasciato la Germania a 15 anni per salvarsi dall’olocausto perché di famiglia ebrea e vi era ritornato come traduttore e interprete con le forze armate americane durante la Seconda guerra mondiale. Si era poi laureato ad Harvard, il tempio del sapere americano, e ne era diventato uno dei più brillanti esponenti. Ma era rimasto fondamentalmente tedesco, lo si vedeva dalle sue letture, dal rigore delle sue analisi, dai suoi gusti a tavola, dalla sua passione per il calcio (si adoprò affinché i Mondiali del ’94 si svolgessero in America). Come molti tedeschi, amava l’Italia, dove aveva un grande amico, Giovanni Agnelli. Lo intervistai per l’ottantesimo compleanno dell’avvocato e mi esaltò Torino. “Gianni sarebbe stato un grande politico – mi disse -, mi ha portato al Parlamento dove sedettero Verdi e Garibaldi. Uno dei miei eroi è Camillo Cavour, il vostro Otto Van Bismark, il nostro cancelliere di ferro”. Si dilungò sulla Juventus e sulla Ferrari: “Gianni ha costruito una delle squadre più forti del mondo ma credo che la sua vocazione nascosta sia quella del pilota di auto. Una volta, mi portò all’aeroporto a Roma con la sua Ferrari. Andammo a una velocità folle. Confesso che non ebbi mai tanta paura”.
Presidente ombra
Il ricordo che ho di Kissinger come politico è invece quello di un uomo di potere, cosa che non nascondeva. Kissinger servì Nixon per sei anni, fino allo scandalo Watergate, quando il Presidente repubblicano fu incriminato dal Congresso per avere spiato sugli avversari democratici e dovette dimettersi, e servì il suo successore Gerald Ford per altri due, fino alla sua sconfitta alle elezioni del 1976 per mano di Jimmy Carter, uno sconosciuto ex governatore della Georgia. Se quasi nessuno ricorda i nomi dei vicepresidenti di Nixon e di Ford è perché per otto anni Kissinger fu di fatto il Presidente ombra degli Stati Uniti e li eclissò come aveva eclissato il segretario di Stato William Rogers, strappandogli la carica, e rivestendola in aggiunta a quello di consigliere della sicurezza, cosa mai avvenuta in precedenza e da allora mai più verificatasi. La sua fortuna fu di essersi trovato in sintonia con Nixon, in politica estera uno dei migliori Presidenti che l’America avesse avuto, e di essere poi assurto a tutore di Ford, poco esporto in materia. Senza dubbio, se la Costituzione americana non vietasse a chi e’ nato all’estero di candidarsi alla presidenza, Kissinger, un grande comunicatore, sarebbe stato eletto Presidente.
Con Ronald Reagan
Quanto il potere gli mancasse, lo constatai alla “convention” repubblicana, il congresso del partito del 1980 a Detroit, l’ultimo in cui ai giornalisti fu permesso di mescolarsi liberamente con i politici. Per caso, nel corridoio del palazzo mi imbattei in Ronald Reagan, l’ex attore ed ex governatore della California, appena nominato candidato alla Casa Bianca, il suo consigliere Bob Allen, Gerald Ford e Henry Kissinger, immersi in una conversazione. Salutai. “Dottor Kissinger, potrei chiederle il perché di questo incontro?”. “Stiamo discutendo della nomina del candidato alla vice presidenza. Vi faremo sapere” mi rispose. Apprendemmo poco più tardi che Kissinger aveva proposto a Reagan di prendere Ford come vice, con speciale competenza per la politica estera, proposta non disinteressata che lo avrebbe riportato alla ribalta internazionale, e che Reagan, che non era il cow boy descritto dai media, aveva rifiutato. Sebbene intendesse formare un governo di ex nixoniani, Reagan non voleva al fianco un Presidente ombra. Prese come vice George Bush padre e ricorse ai consigli di Kissinger in più circostanze, come avrebbero fatto i successivi Presidenti, riuscendo a porre fine alla Guerra fredda con l’aiuto del Presidente sovietico Gorbaciov.
Il giudizio su Moro
In pratica, Kissinger uscì di scena nel gennaio del ’77, a 54 anni, quando Jimmy Carter, detto “Jimmy who?” Jimmy chi?, il Presidente americano ingiustamente più sottovalutato del Novecento, entrò alla Casa Bianca. Carter, un ingegnere nucleare, ex comandante di un sottomarino atomico, anch’egli di grande cultura e intelligenza, ma misero comunicatore, era agli antipodi di Kissinger. Eletto in reazione al Watergate e alla guerra del Vietnam, imperniò la politica estera sulla difesa dei diritti umani e civili, una sorprendente novità per l’America, ottenendo il Nobel della Pace. Fu un cambiamento in meglio altresì per l’Italia. Kissinger aveva ammonito Nixon che il comunismo di Allende in Cile poteva “essere un modello” per il nostro Paese, un invito a intervenire, Carter, che perse le elezioni nell’80 a causa dell’Iran, che imprigionò i diplomatici americani a Teheran per 444 giorni, ordinò invece “una attenzione senza interferenza”, un invito a dialogare. Tra i miei ricordi vi è un colloquio con Kissinger su Aldo Moro, sospettato di promuovere il cosiddetto compromesso storico con i comunisti. “E’ un grande statista, ce ne sono pochi, ma è difficile capirlo, la politica italiana è complessa, ma siete tra i nostri migliori alleati” mi disse.
Giudizi discordanti
In questi giorni, ho sentito e letto i giudizi più diversi su Kissinger, sebbene sia considerato da una netta maggioranza degli esperti il diplomatico più potente e lungimirante dello scorso secolo. Per molti il premio Nobel della Pace conferitogli nel ’73, durante la Guerra del Vietnam, poi persa ignominiosamente dagli Stati Uniti, fu il dovuto riconoscimento al suo realismo. Per altri, che non gli hanno perdonato la parte da lui avuta nel golpe di Augusto Pinochet e nella morte di Salvador Allende in Cile nel ’73, fu una mistificazione. E c’è chi lo accusa di crimini di guerra in nazioni ancora più lontane come il Pakistan, East Timor e via dicendo e di avere appoggiato le dittature di destra. A mio parere, ed ebbi modo di esaminare i documenti della Cia su di lui desecretati decenni dopo, la “realpolitic” di Kissinger, “un ipocrita” secondo Ben Rhodes, per otto anni consigliere alla Casa Bianca, richiese una buona dose di cinismo. Kissinger era un conservatore per il quale il fine giustificava spesso i mezzi, tanto carismatico quanto propenso a operare in segreto. Era misterioso con i suoi stessi collaboratori e gli altri membri del governo, e ferocemente detestato da pacifisti come l’attrice Jane Fonda.
Plasmatori del mondo
E’ incontestabile comunque che a plasmare il mondo dopo la Seconda guerra mondiale siano stati innanzitutto Kissinger e Nixon, nonostante gli errori commessi. Ancora oggi, malgrado sia entrato in gioco l’estremismo islamico, la minaccia più grave, gli equilibri internazionali dipendono dalla triangolazione tra l’America, la Russia e la Cina. Era molto difficile mezzo secolo fa convincersi che questo ordine sarebbe sopravvissuto così a lungo, ma disfarsene adesso sarebbe una catastrofe. Passeranno decenni prima che si realizzi un nuovo ordine, e uno dei compiti di noi europei è di sincerarci che sia migliore per tutti, socialmente ed economicamente. E’ anche stupefacente che nel mezzo secolo trascorso dalla presidenza Nixon Kissinger sia sempre rimasto un punto di riferimento irrinunciabile per i governanti in tutti i continenti. La sua longevità fisica e mentale ne hanno aumentato l’autorevolezza. Le sue consulenze sono state pagate a peso d’oro, e le sue conferenze, i suoi libri, le sue interviste si sono spesso tradotte in iniziative politiche o diplomatiche. Alla sua corte sono sfilati gli uomini più potenti della terra, come il presidente russo Putin, che in venti anni lo ha incontrato diciotto volte.
Persi i contatti con Kissinger quando lasciai gli Stati Uniti dopo trentacinque anni, incredulo di essere stato testimone di uno dei capitoli più importanti della nostra storia. Dei protagonisti di quell’epoca rimane vivo solo Carter, centenario l’anno prossimo, che con gli accordi di Camp David del ’79 realizzò il piano di Kissinger di rappacificazione tra l’Egitto e Israele. Credo che, malgrado i suoi frequenti ricorsi alla forza, a Kissinger piacerebbe essere ricordato proprio come l’architetto della distensione nel mondo, un uomo di pace non di guerra, guidato non dalla moralità ma dalla ragione. Lo dice anche la sua ultima, personale missione diplomatica, la visita al presidente cinese Xi Jinping dello scorso luglio per persuaderlo di concordare il summit con il presidente americano Joe Biden poi svoltosi a San Francisco il mese scorso. La foto di Kissinger con Mao Tse Tung di cinquant’anni fa in una Cina ancora chiusa come una fortezza e quella di Kissinger con Jinping quest’anno riassumono il senso della vita di questo re della diplomazia.
Ennio Caretto